14 Dic Giovanna, per gli amici Giò
Giovanna, per gli amici Giò
Si presuppone che a 18 anni i ragazzi non sappiano neanche lontanamente cosa significhi convivere con più malattie croniche, ma nella vita niente è scontato. Mi chiamo Giovanna, per gli amici Giò e non ricordo di aver mai vissuto senza malattia. Dai 4 anni fino ai 18 mi sono state diagnosticate 4 malattie autoimmuni differenti tutte accomunate da un’unica sindrome: l’APS di tipo 2. Credevo che la mia malattia riguardasse solo il mio sistema immunitario, ero arrivata dopo un lungo lavoro su me stessa ad un punto di accettazione: il mio corpo era geneticamente predisposto ad attaccare se stesso, questa era ormai la diagnosi formulata dai medici. Il 31/05/2017 è una data che difficilmente dimenticherò, l’indomani sarebbe stato il mio ultimo giorno di scuola, avevo finito tutte le interrogazioni e iniziavo a sentire il sapore dell’inizio dell’estate. Stavo guardando la mia serie TV preferita. Naturalmente per restare in tema guardavo Grey’s anatomy. Ad un certo punto sento un forte dolore allo stomaco, come se avessi ricevuto un pugno, non ho avuto tempo di dire a qualcuno “mi sento male”, la vista è andata via e sono piombata per terra. La prima cosa che ho visto quando ho ripreso conoscenza è stata una pezza intrisa di sangue che mia sorella tamponava sulla mia fronte, poi parenti e vicini di casa che mi guardavano sconcertati. Il primo suono che ho sentito è stato il suono della sirena dell’ambulanza. In un attimo il salone di casa mia fu invaso da medici, infermieri, operatori del 118. Mi facevano domande alle quali non sapevo rispondere, ero confusa, non avevo idea del perché fino ad un attimo prima ero davanti al pc a guardare la mia serie TV preferita ed un attimo dopo ero lì per terra inerme. Solo nel momento in cui chiusero le porte dell’ ambulanza e vidi mia sorella che piangeva abbracciata a mia madre capii che si trattava di qualcosa di grave. Arrivata in ospedale mi ricoverarono, rimasi 10 giorni in quel reparto di neurologia dove ero diventata una specie di mascotte. Ero la più piccola ed ero coccolata da medici, infermieri e pazienti. Uscii dall’ospedale con una cicatrice in fronte e senza una diagnosi ben precisa. Dopo vari accertamenti il 18/12/2017 a seguito di un elettroencefalogramma disastroso arrivò la diagnosi definitiva: epilessia idiopatica generalizzata. Ricordo la difficoltà del neurologo nel comunicarmi la diagnosi, anche se io avevo già capito tutto, stavano impiegando troppo tempo a darmi il referto, il neurologo guardava il mio eeg e si confrontava con il tecnico e guardando le loro espressioni si intuiva che qualcosa non andava. In tanti ho imparato a decifrare le espressioni dei dottori, si capisce subito quando devono dire che qualcosa non va. Uscii dal reparto di neurologia con una diagnosi e un farmaco da dover prendere, per quanto non si sapeva. Il dottore mi disse che con quel elettroencefalogramma avrei potuto avere una crisi ancora più violenta, magari non sarebbe capitato a casa, ma mentre attraversavo la strada, su un autobus, ovunque. La prima domanda che mi posi fu: “ma perché proprio a me?”. Che avevo fatto di male? Non bastavano già 4 malattie autoimmuni? I miei interrogativi durarono relativamente poco anche perché queste sono domande che restano regolarmente senza risposta. Si In questi anni mi sono posta tanti limiti, l’epilessia mi ha fatto tanta paura e psicologicamente mi ha fatta cadere per terra e rompere in mille pezzi. Oggi ho 24 anni, sto ancora combattendo molte paure. Oggi non sono più quella diciassettenne inerme davanti a tutto. Sono una giovane donna che cerca di realizzare i propri sogni e portare a termine i propri obiettivi. Il mio sogno è diventare un’infermiera e utilizzare il mio bagaglio per stare vicino a chi si trova da solo ad affrontare la propria malattia. Il mio sogno è di trasformare ciò che mi ha resa debole in qualcosa che possa diventare “forza” da donare agli altri. Vorrei che l’epilessia diventasse un trampolino di lancio per raggiungere i miei obiettivi, ma soprattutto per confermare che si, si può fare, si può andare avanti nonostante la malattia ed essere noi a dominare lei e non il contrario.